“Conceptual Poop Art”, la nuova mostra di Giorgio De Cesario a cura di Emmanuel Mons
delle Roche, vuole essere essenzialmente una provocazione estetica contro i
paradossi del mercato dell’arte contemporanea, ma, nello stesso tempo,
rappresenta un viaggio tra le sue 150 opere e i suoi personaggi con i volti in
argilla in rilievo sulla tela. Non solo. Per la prima volta sono esposti al
pubblico i suoi studi per la realizzazione di cravatte che riproducono
particolari di famose opere d’arte. Invitati d’onore saranno infatti alcuni
rappresentanti dell’industria tessile e di cravattifici italiani e stranieri.
La mostra si svolgerà presso la galleria
permanente dell’artista ubicata ne La Casa degli Artisti di Gallipoli
in via Lepanto 1. Sarà aperta al pubblico ogni giorno dal 2 agosto al 30
ottobre 2025 dalle ore 18 alle ore 20. Ingresso gratuito.
“Conceptual Poop Art” di Giorgio De Cesario
Una
provocazione estetica contro i paradossi del mercato dell’arte contemporanea
Noto per le
sue opere policromatiche e fortemente identitarie, Giorgio De Cesario – artista
e architetto salentino – ha sempre saputo coniugare la tradizione e
l’innovazione, la materia e il simbolismo. I suoi iconici volti femminili in
argilla incastonati su tela e impreziositi da orecchini veri,
parlano di un’arte viva, sensuale, radicata nel territorio e al tempo stesso
aperta alla critica sociale e culturale.
Con la sua
nuova opera “Conceptual Poop Art”, De Cesario si inserisce con forza nel
dibattito sull'autenticità e il valore dell’arte contemporanea, proponendo una dichiarata
e caustica contestazione all’ormai celeberrima “Comedian” di Maurizio
Cattelan – la banana incollata al muro con il nastro adesivo che ha fatto
il giro del mondo.
Cattelan,
con la sua trovata concettuale, ha catalizzato l’attenzione globale: venduta da
Sotheby’s New York per 6,2 milioni di dollari al collezionista Justin
Sun, la banana è infine stata mangiata dallo stesso acquirente,
diventando simbolicamente (e fisicamente) escremento umano. È da questo
gesto estremo – e, per molti, ridicolo – che prende forma la risposta di De
Cesario.
L’opera
“Conceptual
Poop Art” nasce come elaborazione
critica dell’escremento di quella banana diventata simbolo di un mercato
dell’arte sempre più autoreferenziale e grottesco. De Cesario prende ciò che
resta – o meglio, ciò che ne deriva – e lo trasforma in arte vera,
concreta, visibile, visitabile. Con ironia e lucidità, il maestro salentino ribalta
la provocazione di Cattelan e la restituisce al pubblico come riflessione
sulla decadenza culturale e sull’assurdità delle valutazioni speculative nel
mondo dell’arte.
La sede e l’esposizione
L’opera è
esposta in modo permanente presso La Casa degli Artisti di Gallipoli, la
galleria dell’artista, che rappresenta da anni un punto di riferimento per
l’arte contemporanea in Salento.
L’ingresso è gratuito e l’opera è visitabile tutti i giorni dalle ore
18:00 alle 20:00, offrendo al pubblico non solo la visione di un lavoro
provocatorio, ma anche l’opportunità di confrontarsi con un pensiero critico
che scava nel senso più profondo del “fare arte” oggi.
Il contesto critico
De Cesario
non è un outsider qualsiasi. La sua opera è stata analizzata e apprezzata da
alcuni tra i maggiori critici d’arte italiani, tra cui Philippe Daverio,
Giorgio Di Genova, Luciano Caramel e Federico Zeri. Le sue creazioni non si
fermano all’estetica, ma diventano narrazione sociale, antropologia visiva,
denuncia politica. “Conceptual Poop Art” si inserisce in questa
traiettoria: un’opera che è insieme oggetto, gesto e messaggio.
Giorgio De Cesario – Peace
Tree
2025, Legni marini, argilla, acciaio, ceramica smaltata
Esposta presso La Casa degli Artisti, Gallipoli
L’opera Peace Tree di Giorgio De Cesario nasce dall’incontro tra
natura, memoria e impegno simbolico. Realizzata attraverso l’assemblaggio di
materiali trovati in riva al mare, l’opera si compone di un grande tronco che
funge da base e sostiene un secondo tronco più snello, dal quale si diramano
diversi fuscelli. Alle loro estremità, l’artista ha inserito piccoli tubicini
di argilla, ciascuno colorato secondo le tonalità dell’arcobaleno — potente
richiamo visivo alla pace e alla speranza universale.
I due tronchi sono collegati tra loro tramite un vecchio girarrosto in
acciaio, a sottolineare il contrasto e il legame tra ciò che è naturale e ciò
che è stato trasformato dall’uomo. De Cesario immagina che questi legni
provengano dalle coste del Medio Oriente, terre martoriate ma ricche di storia
e umanità, e li riassembla per creare un simbolo benaugurante di pace nel
mondo.
Alla base dei fuscelli compaiono delle lacrime di sangue in ceramica,
emblema del dolore e delle sofferenze umane, contrapposte ai colori vivi e
gioiosi dell’iride: una dicotomia che esprime il dramma e al tempo stesso la
possibilità di redenzione.
Peace Tree è parte della mostra "Conceptual Poop
Art", in esposizione presso la Casa degli Artisti di
Gallipoli dal 2 agosto al 30 ottobre 2025. Durante
questo periodo, i visitatori avranno la possibilità di lasciare la propria
firma sul tronco principale dell’opera, trasformando il gesto artistico in una
partecipazione collettiva al messaggio universale di pace.
Maria
Cristina Maritati
La Casa
degli Artisti Residenza D’artista
MASCHERE,
SENTIMENTI E COLORE DI GIORGIO DE CESARIO
di Emmanuel
Mons delle Roche
La felicità non
è evidente, sembra che Giorgio De Cesario voglia dire. I personaggi sono
bianchi fra armonie cromatiche molto belle. Inoltre, essi sono plasmati come se
avessero delle maschere, ma neppure queste riescono a nascondere la loro
inquietudine, la loro difficoltà di vivere.
Sono bianchi (senza colori, o di tutti i colori?) in un universo ricco di
colori, forse perché l’artista lascia allo spettatore la libertà di scegliere
il suo colore; inoltre l’apparenza dissocia questi esseri dalla realtà : non
sono capaci di comprenderla, e si fabbricano una maschera (che non nasconde i
loro sentimenti, lo ripeto).
Forse il loro spirito (dissociato dal corpo e dalla realtà esterna, cosa che
spiega questi colli lunghi), è di una natura diversa dalla realtà “tangibile”.
Nel lavoro di De Cesario credo ci sia tutto questo. Soltanto il suo
autoritratto è differente: egli è soltanto bianco e “oggettivo”; gli altri sono
neri: sono quindi l’incognita perfetta. Ma forse mi sbaglio sulle sue
intenzioni.
La libertà che lascia la sua arte implica ugualmente quella da sbagliarsi.
Ne sono, in ogni caso, sedotto.
GIORGIO DE CESARIO E LA SUA
INNOVATIVA TECNICA IN ARGILLA SULLA TELA
Di Giorgio Di Genova Critico e storico dell’arte
Nel panorama
dell’arte contemporanea italiana, Giorgio De Cesario si distingue come un
autentico sperimentatore del visivo, capace di coniugare la materia plastica
con la bidimensionalità della pittura in una sintesi ardita e profondamente
personale. Le sue opere pittorico-scultoree, esplosioni di colore su supporti
spesso non convenzionali, rivelano un atteggiamento che potremmo definire neo-barocco,
dove l’eccesso diventa linguaggio e la teatralità si fa contenuto. L’invenzione
tecnica di De Cesario – l’integrazione di volti modellati in argilla
direttamente sulla superficie della tela – rappresenta un punto di rottura
rispetto ai tradizionali limiti della pittura e della scultura.
È una
soluzione che oltrepassa le categorie canoniche, inserendosi in una dimensione di
arte totale, in cui la materia corporea dialoga con quella cromatica in una tensione
continua. I suoi volti emergono dalla superficie come apparizioni ieratiche, icone
contemporanee sospese tra sacro e profano, tra l’umano e il mitico. I colori
vividi e squillanti, stesi su fondi sperimentali – sabbie, tessuti grezzi,
materiali riflettenti – conferiscono alle sue composizioni una forza visiva
quasi ipnotica. La cromia non è mai decorativa ma sempre strutturale, pensata
come veicolo emotivo e psicologico.
Le sue tele
si impongono allo sguardo come apparizioni rituali, in cui la presenza tattile della
scultura incontra la vibrazione ottica del colore. In un'epoca in cui l’arte
tende spesso all’astrazione digitale o alla ripetizione sterile di formule post-concettuali,
De Cesario sceglie la via più difficile: quella della materia viva, della
manualità che si sporca le mani di terra e di colore. I suoi lavori ci ricordano
che la contemporaneità può ancora passare per l’artigianato d’autore, per la
ricerca formale che affonda le radici nella tradizione mediterranea ma che
guarda, senza paura, al futuro.
Giorgio De
Cesario non solo propone una poetica visiva riconoscibile, ma firma, con la sua
tecnica innovativa dei volti in argilla su tela, una delle più originali e coerenti
operazioni di linguaggio dell’arte italiana degli ultimi decenni.
UN LINGUAGGIO NUOVO QUELLO DI DE
CESARIO
DI Luciano Caramel
In un
panorama artistico sempre più incline all’omologazione e al richiamo effimero,
Giorgio De Cesario si distingue per una voce visiva profondamente personale,
radicata nella sua terra salentina e al tempo stesso proiettata verso un
linguaggio universale. Le sue opere coloratissime, spesso attraversate da tensioni
cromatiche vibranti e cariche di una vitalità quasi tribale, rappresentano un
raro esempio di fusione tra pittura e scultura, tra gesto e materia.
Particolarmente
degna di nota è l’innovativa tecnica che De Cesario ha sviluppato: i volti in
argilla applicati su tela, veri e propri rilievi che interrompono la
bidimensionalità del quadro per affermarsi come presenze autonome, inquietanti
e poetiche allo stesso tempo. Non si tratta solo di un’operazione estetica,
bensì di una riflessione profonda sull’identità, sulla memoria collettiva e
sulla stratificazione delle emozioni umane. Il volto, elemento ricorrente e
iconico, diventa in De Cesario non tanto ritratto quanto archetipo: frammento
dell’umanità, spirito della sua terra, maschera e verità. L’argilla – materia
primordiale, terrestre – si fa tramite di una spiritualità arcaica ma ancora
viva, che trova nella tela un altare contemporaneo.
Giorgio De
Cesario non cerca il compiacimento; le sue opere provocano, destabilizzano,
invitano a un dialogo silenzioso. È un artista che ha saputo creare un
linguaggio nuovo, colto ma immediato, capace di evocare tanto la pittura
espressionista quanto i graffiti rupestri, in un equilibrio sospeso tra passato
e presente, tra il Mediterraneo e il mondo.
Giorgio De Cesario: il barocco
mediterraneo in technicolor
di Philippe Daverio
È cosa rara,
oggi, trovare un artista che osi colorare. Non intendo usare i colori, ma
colorare il pensiero, vivacizzare la memoria, accendere lo spirito con una
tavolozza che pare uscita da un sogno partenopeo, ma che ha letto Matisse e ha
dialogato – magari in sogno – con Chagall.
Giorgio De
Cesario è un caso a parte nella scena artistica italiana contemporanea: né
concettuale né pop, ma paradossalmente entrambi. Il suo lavoro è una sorta di
diario pittorico del Sud, intriso di umori mediterranei, eppure declinato con
la leggerezza scenografica di un teatro dell’assurdo, in cui la figura umana si
fa totem, simbolo, a volte maschera.
Il suo
barocco è un barocco felice, solare, persino naïf – ma attenzione: naïf per
scelta, non per limite.
È una
ingenuità coltivata, come quella di certi poeti che fingono di essere semplici
solo per colpire più a fondo. Le sue figure sembrano provenire da un folklore
reinventato, da un Sud che non esiste più ma che vive eternamente
nell’immaginario.
C’è in De
Cesario una sorta di resistenza iconografica: in un mondo che disgrega, lui
compone. In un mondo che frammenta, lui racconta storie intere, compatte,
spesso dense di simboli, dove ogni elemento ha un ruolo quasi liturgico, anche
quando è ironico o surreale. La sua arte è rituale e giocosa al tempo stesso:
un rosario di colori acceso sotto il sole del Cilento, ma con echi che
risalgono a Bisanzio, alla Napoli dei Vicere´, e – perché no – anche alla
Palermo psichedelica di Franco Battiato.
E poi c’è la
materia, che da sola meriterebbe un capitolo: De Cesario dipinge con una sorta
di foga disciplinata, come se ogni pennellata fosse un atto di gioia ma anche
di necessità. Le superfici vibrano, non cercano la perfezione fotografica, ma
anzi, ci ricordano che l’arte è un’emanazione della vita, non la sua copia.
In
definitiva, Giorgio De Cesario ci mostra che si può ancora essere pittori
totali nel senso rinascimentale del termine: autori di un mondo, non solo di
un’opera. E questo, in tempi di smaterializzazione culturale, è un atto
rivoluzionario. Con il sorriso sulle labbra, ma pur sempre rivoluzionario.
La Cronaca
trasfigurata dall’arte
di Carmelo
Cipriani
De Cesario
recupera fatti e protagonisti di scottante attualità calandoli in un’atmosfera
da sogno. Sottratta al consueto linguaggio massmediale e depauperata delle
connotazioni più turpi, la cronaca è riproposta sulla tela in termini plastico-pittorici.
Designer, pittore, scultore, il poliedrico artista è artefice di un linguaggio
singolare, sospeso tra aspirazioni astratte e figurazione naif.
Tela e
argilla i medium privilegiati, utilizzati non in contrapposizione o secondo
scelte aprioristiche, ma integrati sino a potenziare reciprocamente superficie
e volume.
Da sfondi
bidimensionali popolati da figure arabescate, emergono ieratici volti in
argilla, archetipo dell’uomo contemporaneo, reso inespressivo e insensibile
dall’incipiente omologazione.
La
traslazione in un mondo fantastico conferisce allo spettatore un punto di vista
distaccato, obbligandolo a riflettere sulle aberrazioni del mondo odierno,
sulle tragedie quotidianamente procurate da inettitudine, disagio sociale e
ignoranza.